Sport differenti, resistenze differenti. La resistenza può presentarsi in molteplici forme ed in ogni sport vi sono problematiche diverse da affrontare. 

Di seguito vediamo alcuni casi di discipline diverse, utilissimi per il preparatore atletico ma anche per il semplice sportivo. 

LA RESISTENZA DEL MARATONETA 

Nelle concezioni “classiche” dell’allenamento, il maratoneta è visto ancora come il ritratto dell’atleta resistente per eccellenza anche se, viste le ultime performance e le velocità alle quali vengono percorse le maratone, questa classificazione va, se non rivista, perlomeno aggiornata. Forse è più corretto definire il moderno maratoneta come colui che è capace di resistere alla più alta potenza specifica, cioè alla più alta velocità media per tutti i 42 km e 195 metri.

La resistenza classicamente intesa si sta sempre più spostando su distanze maggiori come la 100 km o le ultramaratone.

La capacità di resistere del maratoneta è definibile come il saper mantenere la più alta velocità per tutta la distanza della gara: ciò implica che sia capace di sostenere questa “potenza” media per tutto l’arco della competizione senza soluzione di continuità, anzi limitando al minimo le differenze di velocità sui diversi tratti. Va segnalata la tendenza degli atleti maratoneti di élite a coprire la seconda parte della gara ad una velocità maggiore della prima parte. Questa, ad esempio, è una differenza sostanziale tra atleti top level e il cosiddetto popolo degli amatori, che assai frequentemente sono protagonisti di un vistoso calo di ritmo nella seconda parte di gara, con crolli finali assai evidenti. A comporre il risultato della gara concorrono componenti psichiche, muscolari e bioenergetiche. Ad esempio, il cosiddetto “muro” del trentesimo chilometro può essere facilmente superato se l’organismo ha imparato ad usare la giusta miscela di “combustibili” (lipidi e carboidrati) fin dall’inizio della competizione. Anche questo aspetto è strettamente legato all’allenamento specifico sui ritmi di gara. 

LA RESISTENZA DEL MARCIATORE 

Appartengono al programma delle gare olimpiche della marcia la 20 km (percorsa in 1h20′ circa) e la 50 km (3h45′). Dalla distanza e dai tempi di percorrenza si capisce subito che e sono due gare con caratteristiche molto differenti e necessariamente l’approccio dell’ allenamento ne sarà profondamente influenzato. Nonostante vi siano stati grandi atleti che hanno vinto nell’una e nell’altra distanza, esistono due tipologie differenti di marciatore e quindi anche due forme di resistenza all’interno della marcia stessa. 

Infatti, il “ventista” dovrà mantenere una velocità maggiore per la durata della gara, con la capacità di produrre nelle fasi finali importanti cambi di ritmo sempre nel rispetto della corretta tecnica imposta dal regolamento: può quindi essere definito un atleta “potente-resistente”. 

Il marciatore “cinquantista” dovrà protrarre lo sforzo per un tempo nettamente maggiore, ricorrerà come e più del maratoneta all’uso di substrati energetici misti “carboidrati- lipidi” e spesso imposterà una condotta di gara basata su una regolare distribuzione dello sforzo, pur provando in allenamento cambi di ritmo importanti, nonostante lo sforzo duri per oltre tre ore. Un fattore che accomuna entrambe le tipologie di atleta è il mantenimento di una tecnica corretta per non incorrere nella squalifica. Mantenere il ginocchio bloccato per tutta la durata della competizione dipende da uno specifico lavoro in tenuta da parte dei muscoli estensori della gamba, aumentando significativamente la spesa energetica totale. 

LA RESISTENZA DEL CICLISTA 

Così come per lo sci di fondo, non è possibile racchiudere la molteplicità di discipline del ciclismo (strada, pista, cross, mountain bike) in un’unica definizione di resistenza. Sicuramente il ciclismo su strada inteso come gara unica, le cosiddette classiche, o le gare a tappe come il Giro d’Italia, necessitano di resistenza aerobica eccellente da parte dell’atleta. 

Resistenza che consenta di: 

  • percorrere il totale dei chilometri a ritmi spesso sostenuti, molto oltre le zone classicamente aerobiche; 
  • protrarre lo sforzo per settimane con grande dispendio metabolico; 
  • affrontare le diverse altimetrie del terreno, le diverse condizioni climatiche e fare le volate. 

Possiamo dire che l’organismo deve essere tanto resistente quanto duttile, in quanto le condizioni ambientali, atmosferiche e tattiche sono assai variabili. Vale anche la pena ricordare come in questo sport le giornate di gara per alcuni corridori superino le 100 unità all’anno, per cui spesso la gara e la forma primaria di allenamento. 

Ecco quindi che… Sport differenti, resistenze differenti

CAMBIAMENTI MORFOLOGICI E METABOLICI INDOTTI DALL’ALLENAMENTO DELLA RESISTENZA AEROBICA 

Da un punto di vista metabolico la capacità di resistenza dipenda dalla presenza dei substrati energetici, qualitativamente e quantitativamente disponibili per essere ossidati e dalla capacità dell’organismo di trasformare il lavoro meccanico esterno. 

Conditio sine qua non per resistere è quindi assicurarsi il rifornimento energetico, oltre al suo utilizzo nel tempo. Due sono le componenti fondamentali per il miglioramento della performance aerobica: 

  • Componenti aerobiche centrali (apparato cardio-circolatorio e respiratorio). Apportano a livello muscolare i substrati necessari: glucosio (C6H12O6), acidi grassi, ossigeno (O2); allontanano ciò che è ritenuto deleterio per l’ambiente muscolare: ioni idrogeno (H+), ammoniaca (NH3), anidride carbonica (C02), calore; sappiamo che, a carichi submassimali, la concentrazione di lattato  diminuisce, e aumenta la capacità di smaltimento: va data una visione positiva della produzione di lattato in quanto, come noto, è un substrato riutilizzato successivamente sempre a scopi energetici. 
  • Componenti aerobiche periferiche (respirazione periferica): l’insieme degli scambi che avviene fra torrente sanguigno e muscoli. Possono essere identificate con la capacità delle fibre muscolari di utilizzare ossigeno (estraendolo dal sangue) per la produzione di ATP.  

Per produrre adattamenti e miglioramenti delle componenti aerobiche centrali è necessario: 

  • produrre uno sforzo ad intensità, riferite sia alla frequenza cardiaca (HR – Heart Rate) che alla velocità (V, in km/h), superiori a quelle relative alla soglia aerobica (AT – Aerobic Threshold) (HR 80 % HR max); 
  • l’impegno deve durare da alcuni secondi ad alcune decine di minuti;
  • è presumibile che il miglioramento si evidenzi in maniera più marcata se la richiesta energetica risulta elevata sin dall’inizio ed aumenta all’improvviso (es. aumento di HR). 

Un aspetto fondamentale, per quanto riguarda invece le componenti aerobiche periferiche, è il fenomeno di aumento della capillarizzazione, in rapporto a numero di capillari per fibra, dimensioni della fibra, liquidi intracellulari. 

Tramite l’allenamento di endurance si ha: 

  • conversione di fibre rapide 2b in fibre 2a, sempre rapide ma ad alta capacità ossidativa, ed un aumento a livello miogeno della percentuale di fibre lente, oltre ad un aumento della densità mitocondriale; 
  • ipertrofia del muscolo cardiaco; 
  • aumento delle riserve di glicogeno; 
  • risparmio del glicogeno ed aumento dell’utilizzo di acidi grassi liberi; 
  • aumento delle riserve di trigliceridi muscolari; 
  • possibile aumento della capacità di sfruttare leucina; 
  • aumento degli enzimi ossidativi; 
  • diminuzione della deplezione di CP. 

Un allenamento sistematico ed adeguato della resistenza iniziato dall’età infantile e protratto fino all’età adulta, è in grado di produrre al massimo un miglioramento del 50% del valore di partenza del massimo consumo d’ossigeno (VO2max). Si consideri come riferimento che un buon valore di V02max per uno specialista delle gare di endurance è pari a 80 millilitri per chilo di peso corporeo al minuto. 

La resistenza viene limitata dall’ipossia dei muscoli scheletrici e fondamentalmente dalla capacità del muscolo di estrarre ossigeno. Di fatto, la limitazione non è tanto un fattore di dipendenza della portata del miocardio, quanto un fattore di dipendenza di adattamento della muscolatura scheletrica. 

L’allenamento induce un aumento delle dimensioni e del numero di mitocondri e un aumento dell’attività enzimatica mitocondriale (per unità di massa muscolare). Questi due fattori, in connessione tra loro, inducono un aumento della potenza della trasformazione di energia a livello muscolare. 

A fronte di un incremento della resistenza di tre/cinque volte, l’incremento della densità e quantità mitocondriale e della capacità ossidativa è di due volte, mentre il V02max subisce un incremento pari al 10-14%. L’allenamento induce modificazioni che conducono all’aumento del contenuto di mioglobina nei muscoli immediatamente implicati, oltre ad adattamenti mitocondriali, come ampiamente indicato in precedenza. 

Se si producono valori di lattacidemia (quantità di acido lattico nel sangue) minori a carichi superiori,vuol dire che l’allenamento è stato svolto correttamente. 

L’eliminazione dall’ambiente ematico del lattato prodotto avviene attraverso la metabolizzazione di questa sostanza da parte del miocardio, del fegato, dell’attività ossidativa dei muscoli in allenamento. 

Con l’aumento della velocità di eliminazione del lattato si verificano valori di lattato (La-) inferiori durante l’esecuzione dei lavori. 

Lo sviluppo della capacità di resistenza, in associazione con uno sviluppo della forza, consente un aumento della velocità di gara. 

Un allenamento mirato verso la qualità della preparazione muscolare è utile per il miglioramento delle:  

  • capacità contrattili: 
  • capacità ossidative: 
  • caratteristiche ossidative. 

Ogni atto di relazione (quindi anche l’attività fisica) si realizza attraverso una contrazione muscolare, quindi attraverso una espressione di forza.

Possiamo tranquillamente ribadire che le varie capacità condizionali sono in realtà differenti modalità di espressione di una sola di esse, la forza.

Tutto dipende dalla forza

Se immaginiamo che un muscolo, per contribuire a trasportare un podista, si contrae migliaia di volte in un allenamento esteso o in una maratona, dobbiamo convenire che l’efficacia e l’efficienza di una contrazione non può che dipendere dalla forza di base che quell’individuo possiede e che ha sviluppato scientemente attraverso l’allenamento.

Maggiore sarà la forza di base (o forza massima), maggior facilità di contrazione e minor dispendio avrà quel muscolo (e quindi potrà riservare le ulteriori potenzialità per incrementare la prestazione).

Ovviamente, parlare di forza in casa di specialisti di endurance diviene difficile, perché immediatamente ci si pone il problema che, se aumenta la forza, avremo una maggiore sezione trasversa del muscolo e quindi maggiore superficie da irrorare, maggior peso da trasportare, ecc. Esistono tuttavia metodologie di sviluppo della forza (segnatamente quelle di applicazione specifica) che consentono di lavorare sulla muscolatura direttamente interessata a quel determinato sforzo limitando al massimo l’aumento della massa muscolare. 

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