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Continuiamo l’analisi dei metodi e dei contenuti dell’allenamento della resistenza con il metodo a intervalli.

Nel testo “L’allenamento ottimale” viene innanzitutto operata una distinzione tra allenamento a intervalli estensivo e allenamento a intervalli intensivolnoltre, si fa anche una differenziazione tra metodo a intervalli di breve durata (MIBD), di media durata (MIMO) e di lunga durata (MILD). 

Il metodo a intervalli

L’allenamento estensivo a intervalli è caratterizzato da un volume elevato e da un’intensità relativamente scarsa, quello intensivo da un volume relativamente scarso e un’intensità elevata. 

Nella suddivisione che viene fatta dei metodi a intervalli in MIBD, in MIMD e MILD, si dovrebbero prendere le distanze dalla classificazione proposta da Harre (1969, 161, e 1976, 156) nella quale il MIBD comprende carichi da 15 a 60 sec, il MIMO da 1 a 8 minuti, il MILD da 8-15 minuti di durata. Infatti, con questa classificazione, non si tiene conto del fatto che a partire da una durata dello stimolo da 5 a 8 minuti, non si manifesta più, o si manifesta solo scarsamente, il tipico effetto dell’allenamento a intervalli – l’alternanza sistematica tra lavoro e pausa – in quanto, a causa della lunga durata del singolo stimolo (ad esempio, 10-15 minuti) in un’unità di allenamento questa alternanza si verifica troppo raramente (cfr. Steinhofer 1993, 46). 

La pausa

Tipico dei metodi di allenamento a intervalli è il principio della pausa vantaggiosa: dopo l’interruzione del carico si determina una diminuzione, relativamente rapida, della frequenza cardiaca. L’entità di questa diminuzione permette di ricavare conclusioni sullo stato di allenamento. Poiché essa presenta un andamento logaritmico, solo una parte della pausa è vantaggiosa.  

La lunghezza della pausa vantaggiosa oscilla, a seconda della lunghezza della distanza e dello stato di allenamento, da 30 secondi a circa 5 minuti nelle pause trotterellate da 100 a 1000 metri o da 1 fino a 3 minuti negli altri casi. 

Regola d’oro: all’inizio, la distanza della pausa di corsa trotterellata dovrebbe essere identica a quella della prova di allenamentoSuccessivamente, essa può essere dimezzata e, nelle distanze più lunghe può essere ridotta fino ad un decimo. Comunque, questa maniera di procedere non è adatta per il settore giovanile, in quanto bambini e adolescenti, hanno bisogno di tempi di recupero sufficienti.  

Vi sono altre ragioni per le quali nell’allenamento a intervalli, non si deve cercare un recupero completo:  

  • nelle distanze, generalmente brevi, che si corrono più frequentemente, le pause non debbono superare 1-1,5 minuti, in quanto, soprattutto se l’impostazione della pausa prevede che l’atleta “cammini”, si produrrebbe un ritorno dei parametri cardiocircolatori e metabolici al livello iniziale, per cui, all’inizio del nuovo carico, si dovrebbero rimettere in movimento i vari meccanismi di regolazione e i vari stadi di trasformazione energetica. Ciò non è previsto da questo metodo di allenamento (contrariamente al metodo cosiddetto della ripetizione); 
  • dopo la fine del carico, la pressione sistolica e quella diastolica si abbassano rapidamente, per cui l’ampiezza pressoria arteriosa (cioè la differenza tra pressione sistolica e diastolica) aumenta di molto, il che permette di pensare che vi sia un’elevata gittata sistolica. Con la diminuzione della pressione sanguigna media, l’attività cardiaca passa da un lavoro cosiddetto pressorio a uno cosiddetto di volume ed è questo fatto che viene considerato la causa dell’aumento delle cavità cardiache (fenomeno della dilatazione cardiaca). Inoltre, alla frequenza cardiaca che si ha nella zona della “pausa vantaggiosa”, la gittata sistolica è al massimo (Reindell RosskammGerschler 1962, 60). Questa gittata sistolica ottimale durante la pausa di recupero rappresenta, quindi, uno stimolo efficace per quanto riguarda l’instaurarsi del fenomeno adattativo rappresentato dalla dilatazione del cuore. 
Gli effetti del metodo a intervalli

Perciò l’allenamento a intervalli svolge un’azione intensa sui cambiamenti dei parametri cardiaci da due punti di vista: nella fase del carico grazie al lavoro prevalentemente pressorio del cuore, si produce un’ipertrofia del miocardio; nella fase di recupero, attraverso il lavoro cosiddetto di volume, soprattutto una dilatazione delle cavità cardiache. 

Queste sono le ragioni per le quali con i metodi di allenamento a intervalli si ottiene, in misura del tutto particolare, un rapido aumento dei parametri funzionali del cuore, aumento che, a sua volta, ha un effetto positivo sul massimo consumo d’ossigeno e, quindi, sulla capacità di prestazione di resistenza. In un lavoro intensivo a intervalli della durata di otto settimane (tre volte alla settimana 4×4 min) è stato possibile ottenere un incremento del VO2max di circa lo 0,5% per unità di allenamento. 

Le differenze tra i metodi

La principale differenza tra i metodi estensivi e intensivi a intervalli riguarda il metabolismo. Con una durata del carico da 1 a 4 minuti di elevata intensità, la trasformazione di energia avviene, soprattutto, attraverso la glicolisi e, quindi, si ottiene un marcato miglioramento della capacità anaerobica. Invece, in prove di corsa di durata più lunga, per forza di cose, l’intensità diminuisce leggermente e con essa cala la percentuale di trasformazione di energia attraverso la glicolisi: perciò, in primo piano troviamo sempre più il miglioramento della capacità aerobica. 

Inoltre, l’allenamento a intervalli di tipo intensivo – cioè con un’intensità del carico che rappresenta oltre il 90% della massima capacità di consumo d’ossigeno o oltre il 30% della massima forza di contrazione isometrica – porta a una sollecitazione selettiva e quindi a un esaurimento delle riserve o all’ipertrofia soprattutto delle fibre FT, mentre quello estensivo sollecita maggiormente le fibre ST. Però, ambedue le forme di carico hanno in comune la notevole sollecitazione del metabolismo glucidico, poiché, rispetto all’allenamento di corsa prolungata, anche la variante estensiva raggiunge intensità ancora abbastanza elevate, che si trovano sempre al di là della “soglia anaerobica”. 

Il vantaggio di un allenamento a intervalli nella zona della soglia anaerobica consiste in un aumento della cinetica del lattato (allenamento per una più rapida eliminazione del lattato), nella stimolazione di pattern nervosi specifici di attivazione di fibre muscolari che sono necessarie per la velocità di gara, nell’aumento della resistenza alla fatica e in una migliore capacità di prestazione sportiva. 

Come mostrano in varie ricerche, in ciclisti estremamente allenati questo tipo di allenamento stimola in misura elevata la glicogenolisi e, dal punto di vista metabolico, corrisponde alle richieste che sono tipiche di gare che durano circa un’ora. Per tale ragione, questo metodo di allenamento è utilizzato come elemento base per il miglioramento della capacità di prestazione di resistenza. Poiché, oltre a un’elevata capacità di prestazione aerobica, gli atleti degli sport di resistenza hanno bisogno anche di un’adeguata capacità di prestazione anaerobica, si raccomanda l’esecuzione di un allenamento nel quale si utilizzi il metodo intensivo a intervalli di breve durata. Le ricerche di Creer et al. (2004, 95) mettono in evidenza che quattro settimane di un allenamento di sprint a intervalli eseguito due volte alla settimana (4 x 30 s di sprint massimali con 4 minuti di pausa attiva di recupero) nel quadro di un allenamento aerobico sono sufficienti per riuscire ad aumentare la capacità metabolica (capacità di produzione di lattato), l’attività nervosa specifica e il rendimento complessivo del lavoro.  

Un allenamento intensivo a intervalli è anche estremamente adatto per lo sviluppo o per il mantenimento della resistenza di base, mentre contemporaneamente si prepara la resistenza speciale, in giochi sportivi quali il calcio, la pallamano, la pallacanestro, ecc. Nei giochi sportivi – ciò vale soprattutto nel settore dell’alto livello – invece, a causa della loro maggiore “vicinanza” al gioco rispetto ai carichi continui (secondo il metodo estensivo e in parte intensivo della durata) si dà troppo presto la preferenza a carichi crescenti a intervalli. Secondo il punto di vista attuale, per l’aumento del VO2max o della capacità di prestazione di resistenza nel periodo di preparazione, per otto settimane si consiglia tre volte alla settimana un allenamento a intervalli di 4×4 minuti con un’intensità del 90-95% della FCmax con 3 min di recupero attivo al 70% della FCmax per la riduzione del tasso di lattato. 

Per quanto concerne il miglioramento del VO2max, diverse ricerche hanno dimostrato che a produrre i massimi tassi di incremento e, quindi, il più elevato aumento della prestazione è il metodo intensivo a intervalli. 

All’inizio della fase di preparazione, o del processo di allenamento a lungo termine della resistenza, vi dovrebbe essere l’allenamento estensivo a intervalli. Negli altri momenti si raccomanda di utilizzare ambedue le forme di allenamento, in quanto così possono essere migliorate sia la capacità aerobica sia quella anaerobica. 

Per riassumere, è necessario aggiungere qualcosa sull’impostazione delle pause di recupero. Se si vuole che, attraverso il lavoro di “pompa” svolto dalla muscolatura impegnata nel lavoro, venga fatta affluire di nuovo al cuore la quantità di sangue necessaria per un’elevata gittata sistolica, le pause debbono essere attive (soggetti poco allenati: deambulazione; soggetti allenati: corsa trotterellata). 

Se la pausa fosse passiva, cioè realizzata stando in piedi, da fermi, si provocherebbe un ristagno del sangue nei vasi periferici delle estremità inferiori ancora dilatati. 

Riepilogo

Riepilogando, si può affermare che, attraverso il metodo a intervalli, si applicano stimoli notevoli di allenamento diretti all’ingrossamento del cuore, come anche al miglioramento del metabolismo glucidico o della capacità aerobica e anaerobica. Tali stimoli sono più o meno rilevanti secondo l’intensità, il volume e la lunghezza della distanza prescelta. Rispetto al metodo del carico prolungato, in quelli a intervalli non troviamo una capillarizzazione così accentuata, in quanto non si mantiene, per il necessario periodo di tempo superiore a 30 min. la pressione sanguigna media elevata e l’altrettanto maggiore velocità di circolazione, che sono necessarie per la formazione di nuovi capillari. 

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