Le fasi della supercompensazione
Grazie alle fondamentali informazioni fornite dalla scienza e riportate in particolare nel libro “Periodizzazione. Teoria e metodologia dell’allenamento” di Tudor O. Bompa e Carlo A. Buzzichelli, dopo aver analizzato La supercompensazione e l’adattamento andiamo a scoprire le fasi della supercompensaiozne.
Il ciclo di supercompensazione, di cui abbiamo già parlato nel precedente articolo, ha quattro fasi sequenziali: vediamo, qui di seguito, quali sono e che effetti dell’allenamento riguardano.
Fase I: durata di 1- 2 ore
Dopo l’allenamento, il corpo sperimenta un affaticamento indotto dall’esercizio, che si verifica attraverso meccanismi sia centrali sia periferici.
La fatica è un fenomeno multidimensionale causato da diversi fattori:
- dalla riduzione dell’attivazione neurale del muscolo;
- dall’aumento dei livelli di serotonina nel cervello, che può portare all’affaticamento mentale;
- dall’alterazione della trasmissione neuromuscolare e della propagazione dell’impulso;
- dall’utilizzo dei substrati energetici, indotto dall’esercizio, che si verifica in risposta all’intensità, al volume e alla durata dell’allenamento;
- dall’accumulo di acido lattico a seguito dell’esercizio fisico, che è un importante attore nell’accumulo della fatica;
- dall’aumento dell’uptake di glucosio durante l’esercizio prolungato, nonostante una diminuzione della quantità di insulina circolante;
dalle forze eccentriche significative che possono provocare danni muscolari, con il conseguente indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata (DOMS).
Fase II: durata da 24 a 48 ore
Non appena l’allenamento è terminato, inizia la fase di compensazione (recupero).
Durante la fase di compensazione si verificano le seguenti condizioni:
- entro 3-5 minuti dalla cessazione dell’esercizio, i depositi di ATP sono completamente ripristinati e entro 8 minuti la PCr (fosfocreatina) è completamente risintetizzata;
- entro 2 ore dopo esercizi con una grossa componente di ciclo di allungamento-accorciamento (SSC) – come i salti – sia l’attività elettromiografica (EMG), sia la massima contrazione volontaria (MVC) vengono parzialmente ripristinate;
- il glicogeno muscolare di solito viene ripristinato a livelli basali entro 20-24 ore, mentre se si verifica un danno muscolare esteso, è necessario più tempo per il completo recupero. La velocità di ripristino è direttamente correlata alla quantità di carboidrati consumata durante il periodo di compensazione;
- un aumento del consumo di ossigeno dopo l’esercizio, noto come eccesso di consumo di ossigeno post-esercizio (EPOC), si verifica in risposta all’allenamento; a seconda della modalità e dell’intensità di quest’ultimo, l’EPOC può rimanere elevato per 24-38 ore dopo la cessazione dell’esercizio;
- il dispendio energetico a riposo si eleva a causa dell’allenamento con i sovraccarichi o di resistenza; ci si può aspettare che questa elevazione duri dalle 15 alle 48 ore, a seconda del volume della sessione;
- dopo una sessione di lavoro con i sovraccarichi, si verifica un aumento della sintesi proteica; entro 4 h dal termine della sessione il tasso di sintesi della proteina muscolare è aumentato del 50% e dopo 24 ore arriva al 109%. Il tasso di risintesi delle proteine ritorna al valore basale in 36 ore. Pertanto, si ritiene che questa fase del ciclo di supercompensazione sia l’inizio della fase anabolica.
Fase III: durata da 36 a 72 ore
Questa fase è contrassegnata da un rimbalzo o supercompensazione delle prestazioni. Durante questa fase si verificano le seguenti condizioni:
- la capacità di generare forza e il dolore muscolare sono tornati alla normalità, dopo 72 h post-esercizio;
- si verifica una supercompensazione psicologica, che può essere caratterizzata da autostima, sentimenti di eccitazione, pensiero positivo e capacità di far fronte alle frustrazioni e allo stress dell’allenamento;
- le riserve di glicogeno sono completamente ripristinate, consentendo all’atleta una ripresa prestazionale.
Fase IV: durata da 3 a 7 giorni
Se l’atleta non applica un altro stimolo al momento ottimate durante la fase di supercompensazione, si verifica l’involuzione, ossia una diminuzione dei benefici fisiologici ottenuti grazie alla supercompensazione.
Da 6 a 8 giorni dopo l’attività di allungamento-accorciamento (SSC), si verifica il secondo rimbalzo dell’attività elettromiografica e della forza di contrazione volontaria massimale. Seguendo gli stimoli ottimali di una sessione, il periodo di recupero, compresa la fase di supercompensazione, è di circa 24 ore. La durata questa fase dipende dal tipo e dall’intensità dell’allenamento. Ad esempio, a seguito di una sessione di resistenza aerobica di media intensità, la supercompensazione può verificarsi dopo circa 6-8 ore. D’altra parte, un’intensa attività che ponga una forte domanda sul sistema nervoso centrale, può richiedere più di 24 ore – a volte fino a 48 ore – affinché essa si verifichi.
Pianificare gli allenamenti in base alla supercompensazione
Gli atleti d’élite, che seguono programmi che non consentono 24 ore tra una sessione e l’altra, non completano una supercompensazione dopo ogni seduta, in quanto devono eseguire un secondo allenamento prima che questa possa verificarsi.
Il tasso di miglioramento è maggiore con una maggiore frequenza delle sessioni; in questo caso, l’allenatore o l’atleta devono alternare l’intensità delle sessioni di allenamento, azione che altera efficacemente le richieste energetiche di ciascuna di esse, come suggerito nella pianificazione dei microcicli. Sessioni ad alta intensità troppo frequenti possono compromettere significativamente la capacità di adattarsi agli stimoli allenanti e portare alla comparsa del sovrallenamento, con una conseguente diminuzione delle prestazioni; lo stesso può verificarsi nel caso di stimoli a intensità massimale, a frequenze troppo alte. La ricerca scientifica sugli adattamenti all’allenamento con i sovraccarichi sostiene questa tesi; unendo questo risultato con gli esiti precedenti sul sovrallenamento ad alta intensità dimostra che allenarsi con sessioni ad alte intensità troppo frequenti non massimizza le prestazioni dell’atleta. Alcuni allenatori troppo zelanti, con l’intento di proiettare un’immagine di durezza e stacanovismo, credono che gli atleti debbano raggiungere l’esaurimento in ogni seduta. In tali circostanze, essi non hanno mai il tempo di recuperare, a causa dei livelli molto elevati di fatica; infatti, con l’aumentare di quest’ultima, l’atleta necessiterà di più tempo per la rigenerazione. Anche nel caso di un numero eccessivo di sessioni impegnative, si ha un aumento del tempo di recupero necessario; quindi la pratica migliore è l’inserimento di sedute a intensità inferiore nel piano di allenamento, in modo da garantire la compensazione e, in seguito, la supercompensazione.
Riassumendo, per massimizzare le prestazioni dell’atleta, l’allenatore deve continuamente sfidarne la fisiologia, elevando così il livello di adattamento e, in definitiva, le prestazioni. Ciò implica che l’allenatore debba alternare un allenamento ad alta intensità con un allenamento di intensità inferiore. Se fatto in modo appropriato, questo programma aumenterà il recupero e porterà ad un effetto di supercompensazione.
Man mano che l’atleta si adatta, saranno raggiunti nuovi livelli di omeostasi e saranno necessari allenamenti più avanzati per continuare il processo di adattamento e iniziare un nuovo ciclo di supercompensazione. Viceversa, se l’intensità non è ben pianificata, la curva di compensazione non supererà i precedenti livelli di omeostasi e l’atleta non trarrà beneficio dalla supercompensazione. In definitiva, livelli elevati di fatica derivanti da un allenamento ad alta intensità continuo o troppo frequente attenuano gli effetti di supercompensazione e impediscono all’atleta di raggiungere il massimo delle prestazioni.