Molto probabilmente potrete essere più efficienti e ottenere risultati migliori nello sport che volete praticare se conoscete come funziona il corpo quando lo utilizzate, anche se a grandi linee; se conoscete, quindi, la biomeccanica della corsa.
Ovviamente, la cosa più semplice è indossare delle scarpe e uscire a correre senza tanti preamboli: non sarebbe un male, dato che l’importante, in fin dei conti, è muoversi. Se siete indecisi tra leggere un libro sulla corsa o andare a correre, scegliete sempre la seconda opzione, anche se quasi sicuramente potreste fare entrambe le cose. Ma se iniziate a correre in maniera più o meno regolare, per quanto modesti siano i vostri tempi, è saggio e opportuno apprendere i principi base del gesto. Ricordate sempre che i grandi campioni non sono tali soltanto per questioni genetiche, per la loro costanza negli allenamenti o perché indossano scarpe di ultima generazione. Forse poteva essere così 30 anni fa, ma al giorno d’oggi lo sport è scienza: tutti i preparatori atletici di sportivi di alto livello basano i loro metodi su conoscenze avanzate del funzionamento della psiche e del corpo. Oggi l’informazione è più che mai a portata di mano e la maggior parte di noi può permettersi, con un investimento minimo ma di grande resa, un preparatore atletico. Questo non significa che ci sia un unico modo perfetto di correre, ma che esistono dei parametri di base per correre in modo efficiente, a cui ognuno deve cercare di adattare il suo stile. Non esistono due corridori uguali e, soprattutto, nessuno ha uno stile perfetto. Ognuno di noi è diverso e unico, e quindi ha bisogno di un piano di preparazione atletica personalizzato e deve cercare il modo di correre più adatto a lui, scegliendolo in base a linee guida generali. Quindi, è opportuno sapere cosa succede quando si corre, quali muscoli lavorano in ogni momento, quali sono sottoposti a uno stress maggiore e, di conseguenza, quali devono lavorare di più nelle sessioni di stretching. Bisogna analizzare quindi la biomeccanica della corsa.
Nella corsa ci sono diverse fasi e, riguardo alla loro analisi, si possono trovare molte informazioni: vediamone alcune.
BIOMECCANICA DELLA CORSA – FASE TERRESTRE E AEREA
In modo molto semplicistico, la corsa può essere suddivisa in due fasi, quella terrestre e quella aerea.
La fase terrestre si ha quando il corridore mantiene un piede a contatto con il terreno. È questa la fase più interessante da analizzare a livello biomeccanico, dato che comporta carichi maggiori e applicazioni della forza che richiedono un lavoro muscolare e uno sforzo superiore per il corridore, e perché determina in gran parte l’efficienza del suo stile. Durante la fase terrestre della corsa si distinguono momenti diversi, che vanno analizzati con attenzione perché sono utili per determinare quali gruppi muscolari sopportano la tensione maggiore e quindi su quali muscoli si deve insistere sia nelle sessioni di stretching, sia in un eventuale lavoro di rinforzo (da svolgere, soprattutto, se si è un velocista o si soffre spesso di affaticamento in una zona specifica).
La fase aerea si ha quando il corridore non è a contatto con il terreno, e quindi è “in volo”. La lunghezza della fase aerea dipende in gran parte dal tipo di prova che si svolge. Maggiore è la velocità, più lunghe saranno le fasi aeree e di volo. Al contrario, avvicinandosi alle prove di fondo e quindi a una velocità minore, si avrà per forza una fase di volo ridotta al minimo.
BIOMECCANICA DELLA CORSA – MUSCOLI DELLA PARTE INFERIORE DEL CORPO
Fase di contatto o appoggio iniziale e ammortizzazione.
Si ha nel momento in cui il piede davanti entra in contatto con il suolo, segnando la fine della fase aerea e l’inizio di quella terrestre. Il piede deve atterrare sulla zona medio-laterale della pianta, quella del metatarso, anche se molti corridori lo appoggiano leggermente più indietro. Questo contatto può variare in funzione della disciplina della corsa che si pratica e l’appoggio si può spostare verso la zona anteriore del piede, soprattutto durante l’accelerazione nelle prove di velocità. Affinché questo primo contatto avvenga nel modo descritto, devono intervenire i muscoli flessori dorsali della caviglia, in particolare il tibiale anteriore. Questo primo contatto con la zona medio-laterale o retro-laterale del piede si svilupperà in un appoggio con tutta la pianta grazie a una leggera plantarflessione della caviglia, che sarà sempre condizionata dall’azione del tibiale anteriore. Questa sequenza costituisce uno degli elementi di ammortizzazione di questo primo contatto. In secondo luogo, l’atterraggio non avviene mai con il ginocchio totalmente esteso, poiché sarebbe molto traumatico per le articolazioni. Nel caso di leggera flessione del ginocchio, questa tenderebbe e naturalmente ad accentuarsi dopo il primo contatto con il suolo. Per contrastare questo meccanismo, che porterebbe senz’altro alla caduta del runner, i muscoli estensori del ginocchio devono frenare la flessione e in questa fase è molto importante l’azione del quadricipite femorale. Quindi, questo leggero gioco nel movimento del ginocchio è un altro fattore che contribuisce ad ammortizzare la forza del primo impatto con il suolo. Infine, al momento del contatto, l’anca è semi-flessa e finirebbe per flettersi del tutto se non si opponessero i muscoli estensori dell’anca: il grande gluteo, il medio gluteo e i muscoli ischiocrurali. L’anca è, quindi, il terzo elemento ammortizzatore nell’impatto iniziale.
Fase di appoggio intermedio.
Si trova tra l’appoggio iniziale e il distacco, e comprende quella fase del movimento in cui l’arto di appoggio è vicino alla perpendicolare al suolo. In questa parte, la principale funzione di sostegno viene svolta dalla contrazione quasi isometrica del quadricipite femorale, che impedisce la flessione del ginocchio e quindi l’abbassamento eccessivo del baricentro. Questo elemento e un buon appoggio iniziale fanno sì che il corpo non si abbassi e si alzi a ogni falcata, ma piuttosto che si mantenga in linea orizzontale in modo che l’energia venga investita nello spostamento in avanti. D’altra parte, anche se in misura minore, i muscoli estensori dell’anca continueranno a lavorare per aumentare l’estensione della stessa. I principali responsabili di questa azione sono il grande gluteo e gli ischiocrurali. Mano a mano che il corridore avanza verso la parte finale della fase di appoggio intermedio, entreranno in gioco i flessori plantari della caviglia, in particolare il gastrocnemio e il soleo, che impediranno la dorsiflessione della caviglia, contribuendo inoltre al distacco del tallone dal suolo.
Fase di appoggio finale, spinta e distacco.
Implica la fine del contatto della gamba di appoggio con il suolo ed è in questo momento che il corridore avrà l’impulso o la spinta necessaria per entrare nella fase aerea. Questo richiederà un lavoro notevole da parte dei muscoli estensori dell’anca in particolare del grande gluteo e degli ischiocrurali, per garantire una rapida estensione massimale. Inoltre, la tensione degli ischiocrurali consentirà un’estensione controllata del ginocchio e lo renderà stabile, conferendo alla gamba la rigidità necessaria affinché si trasformi in una leva efficiente. In-fine, l’azione dei muscoli gastrocnemio e soleo permetterà la potente estensione plantare della caviglia, contribuendo in modo sostanziale all’impulso del corpo. Questa sequenza è comune a tutte le prove, ma sarà ovviamente determinante nelle prove di velocità, in cui la rapidità dei movimenti e la potenza dei gruppi muscolari che li eseguono sono essenziali per ottenere un buon risultato.
Fase di oscillazione.
L’obiettivo di questa fase è recuperare la gamba dietro o, in altre parole, portare in avanti la gamba della spinta fino alla posizione precedente al contatto iniziale, da cui riprenderà il ciclo di movimento. L’oscillazione, a differenza di ciò che accade per i muscoli della parte inferiore del corpo descritti, avviene sia nella fase aerea che in quella terrestre. Quando si inizia il recupero della gamba della spinta, il corpo è ancora in aria senza nessun appoggio e il primo contatto si ha solitamente prima che le cosce si allineino. In seguito, la gamba che oscilla continuerà a avanzare fino a ritrovarsi davanti al tronco. Durante questo processo, l’anca passa da un’estensione massima a un grado di flessione notevole, che in alcuni velocisti può arrivare a formare un angolo di 90° con il tronco e che poi si riduce progressivamente. Questo movimento può essere eseguito soprattutto grazie all’azione del grande psoas, anche se, come si è detto, richiederà l’impiego di una forza notevole. Il ginocchio eseguirà una sequenza simile, passando da un’estensione totale alla fine della fase dell’impulso fino a una flessione molto accentuata nella zona intermedia dell’oscillazione prodotta dall’azione dei muscoli ischiocrurali, per poi tornare a estendersi prima dell’impatto con il suolo. Quest’ultima azione verrà svolta dal quadricipite femorale. Per effetto dell’impulso, la caviglia passerà da un’estensione massima a una posizione neutra.
Per finire, dovete pensare che ci sono altri muscoli della parte inferiore del corpo che lavorano, anche se non sono i principali responsabili dell’esecuzione dei movimenti della corsa. Questi muscoli svolgono una funzione stabilizzatrice, in particolare dell’anca e della caviglia, e devono essere inclusi nel programma di allenamento. Nella stabilizzazione dell’anca giocano un ruolo importante gli adduttori, il pettineo, il gracile, il tensore della fascia lata e il medio e il piccolo gluteo. La stabilità della caviglia dipende invece dai muscoli peronei e dal tibiale posteriore. Molti muscoli, quindi, che contribuiscono alla corretta biomeccanica della corsa.
BIOMECCANICA DELLA CORSA – MUSCOLI DELLA PARTE SUPERIORE DEL CORPO
Nonostante i muscoli della parte superiore del corpo non siano il principale motore della corsa, senza dubbio giocano un ruolo fondamentale nel suo sviluppo, sia per la stabilità che per l’impulso. Riuscite a immaginare come correreste con i gomiti estesi e le braccia attaccate al corpo? Provateci e vedrete che, sebbene sia possibile, risulta scomodo e difficile. Ciò è dovuto al fatto che alternare le braccia durante la corsa compensa il movimento delle gambe e fornisce una leggera spinta in più. Ecco un altro aspetto fondamentale da analizzare nella biomeccanica della corsa.
Oscillazione delle braccia.
Come già saprete, l’oscillazione delle braccia è il concatenarsi dei movimenti di entrambe le braccia in avanti e indietro in una sequenza opposta rispetto al movimento delle gambe. In altre parole, quando la gamba destra avanza, il braccio omolaterale arretra, cioè esegue il movimento contrario. In pratica, dato che ogni braccio esegue il movimento opposto rispetto all’altro, il braccio sinistro si sposterà nella stessa direzione della gamba destra e viceversa. Questa azione alternata degli arti superiori e inferiori costituisce il principale elemento equilibratore della corsa. Se cercate di correre portando in avanti la gamba e il braccio dello stesso lato, agendo cioè al contrario, vedrete che l’azione si fa complessa, goffa, innaturale e assai poco efficiente. D’altro canto, l’oscillazione delle braccia eseguita correttamente contribuisce in piccola parte alla spinta della corsa, migliorando il rendimento nelle prove di velocità e ritardando la comparsa della fatica nelle prove di fondo.
Come si è già detto, l’oscillazione delle braccia nella corsa va eseguita in modo continuo e alternato, ma questo non è l’unico accorgimento da adottare per ottenere una buona tecnica di oscillazione e una corretta biomeccanica della corsa. I gomiti devono rimanere flessi a circa 90° per tutto il ciclo e il percorso del braccio deve essere limitato. Infatti, nella retropulsione della spalla, quando il braccio arretra rispetto al corpo, la mano non deve superare l’altezza dell’anca. Nella fase opposta, quando il braccio avanza, il percorso deve essere ancora più breve, di modo che l’arto si ritrovi poco più avanti rispetto all’asse cefalo-caudale o verticale del corpo. Si è già detto che non esistono due corridori che corrono in modo identico ed è evidente che non esistono nemmeno due prove di corsa in cui la tecnica ideale sia esattamente la stessa. Poniamo l’esempio di un corridore dei 100 metri piani e di un maratoneta. Osservando il modo di correre di entrambi, risulterà subito evidente che, sebbene siano tutti e due corridori, i loro stili sono molto differenti. L’ampiezza della falcata e la frequenza sono diversi, così come lo è la torsione del busto. Ciò non significa che uno dei due sbagli l’esecuzione della tecnica, ma che semplicemente ogni disciplina richiede degli adattamenti rispetto alla forma base. Questo criterio è valido anche per l’oscillazione delle braccia. Il gomito deve rimanere flesso a 90° e la mano deve essere rilassata nella corsa e così come l’ampiezza della falcata è più ampia nei velocisti, lo è anche il movimento delle braccia, che arrivano più indietro nella retropulsione della spalla e più avanti nell’antepulsione.
Volendo continuare con l’analisi dell’oscillazione delle braccia, bisogna aggiungere che le mani devono adottare una posizione rilassata, con le dita non completamente estese, né del tutto raccolte in un pugno chiuso. Le tensioni eccessive sono da evitare, ma il corridore non deve nemmeno lasciar ciondolare i polsi e le dita, poiché non c’è nulla di più inefficiente del muoversi con atteggiamento “blando”. Bisogna anche considerare che, nell’oscillazione delle braccia, le mani non devono mai incrociarsi davanti al corpo. Dovete spostarvi in avanti, perciò la spinta apportata dalle braccia deve essere orientata in questa direzione. Se incrociate le braccia davanti al corpo, facendo sì che la mano si sposti in diagonale, non otterrete l’impulso in avanti, né compenserete in modo ottimale il movimento delle gambe, compromettendo il vostro equilibrio dinamico.
Il core.
Nella stabilizzazione del corpo, è importante anche il lavoro svolto dalla muscolatura addominale e lombare. Questa zona di collegamento tra i movimenti dei muscoli della parte inferiore del corpo e quelli dell’oscillazione delle braccia agisce come un cardine: consente cioè di armonizzare la dinamica di entrambe le zone, riduce l’impatto della corsa sul corpo e mantiene il tronco perpendicolare al suolo o leggermente inclinato in avanti, elemento che contraddistingue una buona tecnica di corsa.
Ci sono altri fattori da considerare per ottenere una tecnica e uno stile compatibili con un buon rendimento. In primo luogo, la corsa deve essere il più lineare possibile. Non si deve correre andando su e giù, ma in avanti, poiché gran parte dell’energia impiegata nello spostamento verticale andrà persa. Tutti i corridori tendono in parte a spostare il loro baricentro verso l’alto e verso il basso, dato che si tratta di una conseguenza naturale dell’alternanza tra la fase di volo e quella terrestre, ma ogni spostamento verticale costituisce una perdita di energia che sottrae risorse allo spostamento orizzontale, l’unico che ci permette di avanzare.
La tecnica della corsa e l’attrezzatura specifica costituiscono un ambito di studio molto sviluppato e, sebbene ogni anno vengano suggerite idee per perfezionarle, le invenzioni rivoluzionane sono poche, quindi lo scetticismo e lo spirito critico non saranno mai di troppo al momento di valutare le nuove proposte. Utilizzate un’attrezzatura testata e ricordatevi di cambiare periodicamente le vostre scarpe, dato che il materiale che ammortizza l’impatto del piede a terra perde le sue proprietà con l’uso. Ma soprattutto, usate la logica, interpretate correttamente le vostre sensazioni: il vostro corpo non vi inganna!
Non tralasciate quindi l’analisi della biomeccanica della corsa: con un po’ di attenzione potrete sicuramente migliorare l’efficienza del gesto…!